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sabato 15 maggio 2021

 Queste sarebbero notizie da condividere visto che nessuna testata le pubblica! Il nostro interesse per gli africani si accende solo se "invadono" il nostro territorio...del resto e della loro storia....chi se ne frega...

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone e persone che sorridono
Ieri sera, proprio mentre il mondo scopriva i reali motivi per cui la Francia di feccia-Sarkozy avesse deciso di scatenare l'inferno in Libia, sono andato a una cena con discussione organizzata da un collettivo di migranti del West e Centro Africa francofoni qui a Berlino: il Corasol.
Il dibattito era sul CAF: il Franco Centro Africano. Vale a dire la moneta utilizzata in 14 stati africani ancora oggi.
Incredibile per me che non ne sapevo nulla è stato capire quanto 14 stati, formalmente indipendenti dal 1960, siano ancora oggi colonie francesi e quindi europee de facto, per via monetaria ed economica. Parliamo di Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.
Questi paesi, un po' come la Grecia della Troika, non hanno alcuna libertà economica, non hanno libertà di poter commerciare tra loro, le loro monete vengono anche materialmente prodotte in Francia (cioè in Unione Europea), le loro banche centrali, le loro istituzioni economiche e finanziarie devono ancora oggi prevedere la presenza di un rappresentante francese con diritto di veto.
La moneta ad uso coloniale è usata da centinaia di milioni di africani e il 65% degli interessi su ogni scambio, deposito ed operazione va dritta dritta nelle casse dello stato francese.
Estrazione pura di ricchezza, dai molti (poveri e africani) ai pochi (ricchi e bianchi europei).
La moneta è legata con un cambio fisso in Euro (1 euro vale 655 CAF) e per essere cambiata in Yuan, Dollari, Pesos ecc deve essere prima tramutata in Euro. Questi vincoli economici coloniali rendono queste economie sempre più indebitate con l'UE malgrado non spendano nulla e le vincolano ad una moneta forte come l'euro che rende impossibile qualunque export e limitato qualunque import (ad un Camerunense conviene comprare pomodori cinesi invece che i propri).
Merci e capitali Westafricani e Centroafricani DEVONO, non "possono" ma DEVONO, passare per Parigi e Francoforte, gli esseri umani ovviamente no, a loro tocca morire nel deserto o nel Mediterraneo o essere chiamati con disprezzo "migranti economici"!
Per me che non conoscevo la questione, una verità odiosa e sconvolgente che mi da un motivo in più per tirare una testata al primo coglione cui sento dire "aiutiamoli a casa loro".
Nella storia, da Lumumba a Sankara, fino al recente ministro dell'economia del Mali tre anni fa o alla Costa d'Avorio 7 anni fa, chiunque abbia provato a liberarsi da questo giogo economico ha pagato con la vita sua o della gente del suo paese.
Consiglio di dare un'occhiata qui:
(nella foto Christine Lagarde, ministro delle finanze e al commercio estero di Sarkozy oggi presidente del Fondo Monetario Internazionale, una delle tre teste della Troika, in una recente visita in Africa)...
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lunedì 11 agosto 2014

Il viaggio?... Solo andata, grazie

È iniziato agosto e i fortunati che possono usufruire delle vacanze sono in viaggio o si stanno preparando per farlo. Chi, invece, è rimasto a Roma, può solo consolarsi osservando la città in un’altra ottica, riuscendo a notare particolari che il traffico di tutto un anno ha sempre nascosto. A dire il vero, nelle ultime stagioni estive, la città si è sempre meno svuotata. Ma con l’avvicinarsi del ferragosto, in alcuni momenti è sorprendente poter vedere via Labicana, con i suoi quattro sensi di marcia, completamente libera dalle auto con un insolito orizzonte che va dal Colosseo a viale Manzoni; o il quasi km. 1,2 della stessa via Merulana che in un unico sguardo può presentarsi senza ostacoli mobili da S. Maria Maggiore fino alla basilica di San Giovanni. Così molte altre strade del centro solitamente infrequentabili. Anche il rumore diminuisce sensibilmente (a patto che in piena notte non si attivino allarmi ossessionanti), e almeno le nostre orecchie, se non noi, possono concedersi un periodo di tregua.
Di questi tempi, magari correndo di mattina presto, è facile scorgere automobili ferme davanti a un portone, su cui vengono caricati borsoni, valigie, zaini, buste e quant’altro. Con il malcapitato uomo/autista sempre puntualmente incapace di posizionare in modo corretto tutti i bagagli. Pervaso, oltretutto, da una crescente preoccupazione e incredulità nel vedere la continua e sempre più massiccia quantità di cose da caricare che circondano l’auto nell’attesa di essere stipate nel baule o portellone che sia. Sostanzialmente un vero e proprio trasloco. Il clima, in questi casi, si riempie di eccitazione con risvolti non sempre pacifici. Ma appena si chiude l’ultima portiera dell’auto (ammesso che le valigie lo consentano), dopo aver acceso il motore, regolato accuratamente gli specchietti retrovisori, attivato l’aria condizionata, selezionato la frequenza radio preferita, impostato il navigatore, controllato il livello di acqua e olio (l’auto è stata ritirata il giorno prima dal meccanico!), regolato i sedili, sistemato lo smartphone con tanto di auricolare, verificata l’abbondante presenza di liquido per i tergicristallo, etc. etc., ecco che finalmente ci si muove, cercando di lasciare tutto alle spalle (a volte anche un beauty case).
I primi 5/10 minuti di marcia sono ancora abbastanza tesi, dedicati soprattutto ad un promemoria su cosa, questa volta, si sia dimenticato di prendere o fare. Inizia una specie di interrogatorio in cui si elenca un’infinità di voci simili alla lista della spesa. Se tutto fila liscio (quasi mai), subentra un certo rilassamento, si comincia a percepire il gusto del viaggio, il piacere di compiere un percorso. Forse una delle più belle fasi della vacanza. Un’attesa positiva non sempre corrispondente alla meta in alcuni casi insoddisfacente o deludente. Anche la convivenza con chi ci è vicino non è detto risulti idilliaca.
Nel tragitto però questo ancora non si sa, restiamo con la nostra immaginazione, mentre i paesaggi scorrono, cambiano.
Certo, con un altro mezzo di locomozione che non sia l’automobile, è molto diverso. Con una quattro ruote si è liberi di muoversi (a meno di non trovarsi bloccati per 2 ore sull’autostrada), di fermarsi, di fare uno spuntino, di guardare intorno, di accelerare, di rallentare.
Tutto è gestibile e con delle buone sensazioni, ma solitamente solo all’andata! È, Infatti, decisamente diverso l’impatto mentale nel viaggio di ritorno. Vorremmo quasi non tornare mai, se non magari come turisti. Ci piacerebbe continuare, scoprire nuove località, persone diverse, aggiungere esperienze significative e poi raccontarle.
Ecco, appunto. I racconti e i discorsi nel periodo estivo si dividono in un “prima” e in un “dopo”. Da maggio, fino all’inizio delle vacanze, il “più e il meno” è caratterizzato dal dove si andrà, con chi si andrà, perché ci si andrà, con cosa, a chi si lascerà il gatto, a chi è stato affidato l’innaffiamento delle piante, etc. etc.. mostrando una tinta epidermica degna del nomignolo “viso pallido” affibbiatoci dai nativi americani. 
Dal momento del ritorno (questa volta quasi irriconoscibili per aver assunto una colorazione vicina al marrone-lucido da scarpe), fino a quando non sono tornati tutti al lavoro, ci si dilunga, invece, su cosa si è visto, sulla descrizione anche di minimi particolari del tutto insignificanti (a cui i colleghi fingono spudoratamente di interessarsi), sugli immancabili imprevisti che hanno reso frizzante quei giorni, per poi soffermarsi, di default, sulle esperienze mangerecce risultanti da pranzi e/o cene in locali e ristoranti del posto.
Si vorrebbe, insomma, sempre partire, conoscere cose nuove. Lucio Battisti in “Sì viaggiare” cantava: “con un ritmo fluente di vita nel cuore”. Evidentemente questo ritmo non lo abbiamo per il resto dell’anno, oppure non è fluente, o forse non è di “vita” ma solo un mantenimento. Una specie di lievito madre che teniamo in frigo perché altrimenti fermenterebbe troppo. Infatti le vacanze si potrebbero paragonare al lievito quando lo riportiamo a temperatura ambiente.
Forse è la routine che ci appesantisce? Lo stesso posto, gli stessi colleghi, le stesse procedure  da seguire? Oppure semplicemente è il tipo di lavoro che non ci piace o soddisfa?
Le nostre passioni e i nostri talenti sono importanti e credo non debbano essere mai soppressi, ma coltivati, alimentati, a costo di dover far rimanere in frigo anche loro.
Perché nel momento in cui potranno uscire, il viaggio sarà di sola andata. “Senza che”, scriveva il mio amico Rocco Auciello, “i sassi del tempo intralcino il torrente che scorre”.

Max

lunedì 21 luglio 2014

Du’ mano, ‘na chitara…..e er chitarista

‘N ber giorno approfittanno de ‘na mezza festa
‘a mano sinistra se sfogò co’ ‘a destra:
“ Aho!...ma qui er cetriolo è solo mio,
me sto a far’ culo solo io.
Tu co’ st’aria da una de scienza
te sai nasconne bene, ma sei ‘na lenza.
Fai proprio er minimo risicato,
ma quanno ‘a finirai de ripià fiato?”

“A bella..!” Ja rispose l’antra mano,
“Io  nun fò gnente de strano,
sei tu che sartelli e t’atteggi poi te n’esci co’ sta tracotanza
sembra che invece de sona’ stai a fà ‘na danza…
Te movi su e giù pe’ la tastiera,
te agiti nervosa, ma che è tutta sta scena?...
A ricordate che se nun ce fossi io, saresti solo che nessuno.
Perché chi pizzica la corda solo ar momento che è opportuno?
Quinni è inutile che cianceri, io me preoccupo d’anda’ ‘r sodo,
da sola andresti pe’ farfalle…gireresti sempre a vòto.”

Accusò ‘r colpo la sinistra,
ma subito s’ariprese e tornò in pista:
“In quanto a pizzica’ ce potresti ave’ raggione,
ma che te soneresti si ‘n te dò l’intonazione?
E poi n’antra cosa, ce lo sai, è capitato,
ho fatto quarche sbajo..per caso m’hai aiutato?
Te saresti dovuta ferma’ n’attimo pe’ evitamme ‘na figuraccia.
Macché… te ne sei fregata..perché c’hai ‘r culo ‘n faccia.”

Ner mezzo de’ sta disputa, per quanto cosa rara,
svejata dar casino ce mancava la chitara:
“E basta!” Fece all’antre lo strumento,
“Finitela ‘n po’ co’ sto lamento,
io ma devo da riposa’ che so’ ‘n po’ stanca,
artrimenti va a fini’ che ‘r capo aranca.
Er corpo mio a da’ sta sempre a novo
..co’ ste belle forme che m’aritrovo..
‘Na signora ieri ar concerto me guardava da lontano
con n’aria da ‘nvidiosa  che se percepiva a naso.
Era piatta com’ un facse, ma tutta fronzoli e lacchè,
l’ho sdrumata co’ ‘na settima e i’ ho pure fatto tiè!”

Intervenne de soppiatto ‘n po’ stravorto er chitarista,
co’ ‘na faccia che pareva esse’ uscito da ‘n esorcista.
Ma ammiccando ‘n sorisetto de circostanza..paraculetto,
cercò de’ prenne in mano l’imbarazzante situazione
e se rivorse a loro… come fossero persone:

“Scusate..veramente..io nun v’ ho mai parlato…
piacere….so’ onorato.
Me sentite?!...nun è che c’avete ‘n codice criptato…
no perché nun v’avevo mai ascortato..
Bene..allora apro bocca e je dò fiato.
Tornando a quer che dicevate…
me dispiace, me siete ‘n po’ calate,
ve stavate a ‘ggrovija co’ ‘n a stupida ciarleria
mentre noi, ce lo sapete, semo de ‘n antra categoria.
No ner senzo da ritenesse de’ ‘na spanna superiora,
sempricemente attesto che da sto monno semo fora.”
Sorise e cercò er conzenzo,
‘o guardaveno tutte in religgioso silenzio.
Allora incoraggiato da sta benedizione,
andò spedito avanti preso dall’ispirazione:
“Lo sanno tutti ”, continuò co’ la fronte ‘n po’ sudata,
“sta vita nun c’è verso, a vòrte è disgraziata,
benché nun ho capito se in tutto sto casino
so’ l’ommini che inzuppano o è corpa der destino.
Eppure, presempio, quanno l’arte comunica,
t’accorgi, in un baleno, che quarcosa drento luccica.
M’aricorda er flipper quanno la pallina dopo lungo girovagare,
annava ar posto giusto e accenneva lo speciale.
Quinni, forse se nasconne, ma quarcosa de’ elevato ce starà,
magara ogni tanto ‘na boccata d’aria ‘a pijerà;
e noi dovemo fa’ capi’ che gnente qua è finito,
c’è ‘n filo che ‘n se vede ma unisce tutti all’infinito.
L’impegno nostro è regalà sto tipo d’emozione,
risvejà’ quer che de grande ce sta nelle persone.
Raccoje lacrime dandoje spessore,
nun falle mai sentì de sta’ da sole.
Rinfrescà’ colla musica ‘na sensazione nella ggente
de ‘n infinità de’ gocce come da ‘na sorgente;
e mejo ancora, portalli tutti  a ‘n antra artezza,
lontano da st’odore de monnezza.
Lassù  te senti vivo, viene facile ‘n soriso,
co’ l’occhi che te dicheno: “ ma ‘n do stamo in paradiso?”
T’aritrovi pargoletto e..piagni de tenerezza
…intanto l’anima se riempie de bellezza".

Max

Poveri campioni

Improvvisamente, forse per antiche reminiscenze, stanotte, svegliandomi, mi è venuta voglia di scrivere due righe sulla finale di ieri sera dei Campionati del Mondo.
Nonostante i timori della vigilia, le manifestazioni, le contestazioni a volte opportunisticamente amplificate dall’importanza dell’evento, si è conclusa un’edizione dei Mondiali di calcio abbastanza significativa per vari aspetti. C’è stato in assoluto un equilibrio di valori (escludendo la debacle del Brasile) senza precedenti. Dagli ottavi in poi ben sette partite (su un totale di 16) si sono concluse dopo i tempi supplementari di cui tre ai rigori. Tre squadre (Costarica, Olanda, Germania) sono rimaste imbattute e l’Argentina ha perso solo nella finale d.t.s. Si è dimostrato quindi che con un’ottima organizzazione di gioco ed una adeguata preparazione atletica anche rappresentative di secondo piano possono competere con chiunque.
Ovviamente di fronte all’ascesa di questa filosofia di gioco c’è un prezzo da pagare. A farne le spese sono sicuramente i fuoriclasse. Se è infatti vero che sono loro a poter rompere il prevedibile, a spezzare schemi in una frazione di secondo, a far prevalere l’istinto alla logica, è altrettanto vero che saranno loro i più controllati dagli avversari che si attiveranno perché non possano nuocere e rovinare i piani. Non è certo stato,infatti, il torneo dove i veri Campioni si siano potuti esaltare. Forse l’unico, il colombiano James Rodriguez, magari sfruttando la sua ancora poca notorietà, è riuscito in qualche modo a far valere il suo talento. Ma per il resto buoni centrocampisti, ottimi portieri…. e?…….Non un’invenzione, non un’azione trascinante, niente di tutto questo.
Abbiamo visto nella finale due squadre organizzate diversamente. La Germania bavaresizzata che gestisce bene la palla con giocatori votati al sacrificio di cui almeno tre fondamentali, Muller, Schweinsteiger e Lahm, più il portiere Neuer. Tutti con nomi più o meno traducibili..nell’ordine Mugnaio, Salitore di maiali, Pecora e Nuovo. Compagine forte, massiccia, metodista…..avvicinabile concettualmente al connazionale Papa emerito Ratzinger. Non ha creato però molte occasioni e ha trovato il gol grazie ad un bellissimo gesto tecnico del suo Goetze (trad. “Idolo”) diventato così di nome e di fatto.

Dall’altro lato l’Argentina abbastanza attendista. Si ritraeva come la corda di un arco per poi lanciare le sue frecce, alcune sono partite ma non hanno trovato il bersaglio. Ha avuto le occasioni migliori, la più clamorosa con Higuain nel primo tempo a cui è mancata la freddezza necessaria per trasformarla in gol. Poi Messi, nella ripresa, ha angolato troppo il tiro e Palacio, nell’ultima opportunità per i sudamericani, non si aspettava il mancato intervento di testa del difensore così con il suo stop impreciso ha finito per allungarsi troppo il pallone.
Ma quasi tutti prendono di mira Messi, colpevole, a quanto dicono, di non avere personalità, di non aver espresso le sue qualità in una partita così importante, di non aver preso per mano la squadra e via dicendo. Sicuramente il fuoriclasse argentino non ha la personalità di Maradona, è più discreto, gli manca un po’ di sfacciataggine, è caratterialmente timido, ma ha fatto delle cose egregie. Intanto (per il discorso fatto prima) ogni qualvolta aveva la palla era sistematicamente circondato da quattro avversari. Nonostante ciò mi sembra che solo un paio di volte siano riusciti a fermarlo, nelle altre occasioni, anche senza dribblare tutti, trovava il modo di passare ad un compagno libero. Ha comunque fatto dei numeri eccezionali ed era nettamente l’unico in campo di un’altra categoria. In un’azione vicino al limite dell’area tedesca ha fintato un dribbling esterno per poi invece rientrare, tanto che un difensore intervenendo sicuro in scivolata, convinto di poterlo contrastare, è andato completamente a vuoto. Lo stesso telecronista ha commentato: “Messi l’ha mandato a prendersi un caffè”. Credo siano alla fine questi i momenti che racchiudono l’essenza di questo sport, quando cioè alcuni gesti riescono ad emozionarci, a farci sussultare sulla poltrona, ad alzarci in piedi allo stadio, ad applaudire e ad ammirare chi ha suscitato tutto questo.
Ci si richiude invece spesso nei soliti commenti da opportunisti che condannano il perdente e incensano il vincitore. Se parliamo di meriti, l’Argentina non meritava la sconfitta ma non ha concretizzato quando ne ha avuto la possibilità.
Ma i meriti nel calcio non contano perché vince chi fa più gol …..ed è molto diverso.

mercoledì 7 marzo 2012

Una cosa mi sento di dire...

Una cosa mi sento di dire oggi a proposito dell'Italia: abbiamo un ministro del Consiglio onesto. Potrebbe sembrare un'affermazione banale, ma sono anni che non osiamo dire una cosa del genere.  Non so se sia la persona ideale,  se sia giusto che il nostro Paese sia governato da un "non eletto dal popolo", che il nostro Presidente della Repubblica abbia deciso "autonomamente" la linea da tracciare per superare il momento difficile della nazione. In ogni caso, trattandosi di un' emergenza, tale deve essere considerata.
La mia affermazione scaturisce da alcuni elementi, l'ultimo dei quali riguarda il rifiuto, sollecitato da Monti, di organizzare le  Olimpiadi di Roma del 2020. Chiunque, o quasi, infatti, avrebbe  accettato il loro svolgimento nella Capitale. Questo perché vista, appunto, la dubbia onestà di chi ci ha preceduto nei vari governi, sarebbe stato comodo per loro guadagnare  profitti, a danno dei contribuenti,  dai numerosi e onerosi lavori necessari che sarebbero, presumibilmente, stati assegnati a ditte "compiacenti". Ecco perché, al di là dei motivi tecnici sicuramente decisivi, quello che più ho percepito favorevolmente, con questa decisione, è che il nostro ministro del Consiglio non ha alcun interesse personale nella gestione del governo. Cosa alla quale non eravamo più abituati. Potrebbero esserci altre cose sotto, ma per il momento non ne abbiamo il sentore.
C'è dell'altro, cioè l'importanza che abbiamo acquisito in poco tempo, come nazione,  al cospetto dei Paesi più "determinanti". Mi sembra che lo stesso Cancelliere tedesco Merkel si avvalga del nostro Presidente del Consiglio per prendere decisioni riguardanti l'Europa. Segno che la sua competenza è conosciuta e che la sua figura viene stimata dai più importanti leader politici del mondo.
Si denota, invece, un certo ridimensionamento dei nostri partiti politici, che, non abituati a situazioni di questo tipo, sembrano vagare un po' alla cieca non sapendo bene il  ruolo  da assumere. A lume di naso la mia sensazione è che stiano affilando le armi per le prossime elezioni, rimandando il loro massimo impegno per quell'occasione. Per ora, intanto, devono esprimersi in Parlamento e al Senato solo ed esclusivamente per il bene dell'Italia. Una novità assoluta!
Inoltre, il "salto" che l'Italia ha fatto con Monti, inserendosi fattivamente all'interno della politica dell'Unione Europea, è determinante. L'orizzonte si è ingrandito, e questo ha causato probabilmente uno shock anche per le organizzazioni di stampo mafioso, a cui sono venuti a mancare dei riferimenti locali importanti.
Dovremmo quindi essere molto vigili alle prossime elezioni. Anche le varie "cupole" staranno studiando strategicamente le loro mosse per decidere quale partito e quali persone appoggiare.
Spero che l'attuale governo vagli la possibilità di inserire delle clausole che stabiliscano alcuni principi; per cui, ad esempio, far rimanere Monti e la sua equipe di tecnici, come supervisori per salvaguardare il Paese da eventuali ricadute economiche, almeno fino a quando la  situazione non sarà del tutto risanata. Ipotesi sicuramente difficile, soprattutto perché i partiti faranno di tutto per contrastare una scelta di questo tipo,  ribadendo la loro sovranità sulle decisioni da prendere in quanto legittimata da chi li ha votati. Per questo noi dovremmo essere più attenti in questo momento. Insomma, sì, dovremo resistere, ma cercare anche di non essere impreparati da qui, all'immediato futuro. Dovremmo sorvegliare, sicuramente qualcuno cercherà di tenderci delle trappole. Potrebbe essere un'occasione unica che non ci dobbiamo lasciar sfuggire. Smettiamo di pensare sempre e soltanto al nostro piccolo rendiconto, perché con questa filosofia non si va lontano ed è la stessa che hanno adottato i politici fino a poco fa.  Guardiamo un po' più in là. Cerchiamo di capire cosa può andar meglio per tutti. Solo con uno sguardo più completo si riesce a scorgere quello che è più, o meno, importante. Così, forse, riusciremmo a vivere serenamente anche in quest'Italia, potendo orgogliosamente affermare che il merito è anche un po' nostro. Chissà, magari anche i nostri figli potranno starci vicino, senza fuggire altrove per trovare un posto dove valga la pena viverci.

Max

lunedì 20 febbraio 2012

Non la prossima, quella dopo...

È una fermata che viene identificata così per essere meglio compresa. Se dicessimo: "tra due fermate", potrebbe essere equivocato,  come anche: "la seconda", perché magari in quel momento una fermata sta per essere effettuata e si innescherebbe un po' di confusione. Invece: "non la prossima (o questa), quella dopo" diventa  più comprensibile.
In quanti paesi verrà adottato questo modo di spiegare a qualcuno, quando dovrà scendere?
E noi siamo sicuri di conoscere la fermata giusta? Oppure scendiamo prima possibile a scanso di equivoci?
Perché andando avanti potremmo perderci e non sapere dove un'ipotetica metropolitana ci porterebbe. I turisti di tutto il mondo memorizzano di solito esclusivamente il nome della fermata dove scendere, fregandosene di tutte le altre. Forse sarebbe più semplice numerarle?
Lì dentro, soprattutto nelle ore di punta, quanta gente incontriamo? Persone di ogni età, razza, classe sociale. Ma ce ne disinteressiamo. Sopportiamo a malapena la loro vista perché inevitabile, ci concentriamo invece solo sul nostro tragitto esclusivamente funzionale allo spostamento.
Nei piccoli centri, al contrario,  ci si conosce,  per strada ci si saluta. Nelle grandi città la folla è solo un ostacolo. Nei paesini con pochi abitanti non esiste l'ansia di arrivare...sei arrivato :-). Nelle metropoli, sui mezzi di trasporto,  ci si attrezza con i-pod, pc portatili, i-phone, cellulari di ultima generazione, libri; di tutto, pur di non sentire nulla e nessuno. Tuttavia capita frequentemente di imbattersi in improvvisati musicisti che accompagnandosi con vecchi strumenti rabberciati, raccattati  probabilmente tra i rifiuti, vengono a mortificare le nostre orecchie, per poi rovinarci del tutto il viaggio con insulse richieste di denaro dopo l'irriverente esibizione. Non manca chi vuole renderci partecipi dei fatti propri esprimendosi a voce alta mentre parla al telefono. Riusciamo così a sapere cosa mangerà per pranzo, come cucinerà quel piatto, come sta la suocera, a che ora arriverà a casa il marito e se il figlio più piccolo è andato di corpo. Come potremmo vivere senza queste preziosossime acquisizioni?! Ma per lo più si cerca di mimetizzarsi, di rendersi inidentificabili e anonimi. Dove invece ci si conosce, ognuno ha una sua identità precisa, non solo manifestata col proprio nome. Spesso ci si chiama con un soprannome che dimostra "l'appartenenza" ad un ambito ristretto di persone che si frequentano abitualmente.

L'anonimato delle metropoli, comunque, è solo circostanziato alla situazione. Anche l'abitante di un piccolo centro diventerebbe "uno qualunque" di fronte a tanta gente sconosciuta. Una volta potevamo dire che ognuno aveva una sua "appartenenza". Vale a dire un gruppo di persone a cui aderiva sia pure nel modo più vario possibile. (Per approfondire vai su: http://www.centrostudimeridie.it/documenti/Saggi/identit%C3%A0_e_appartenenza.pdf
Qui da noi, nel mondo occidentale intendo, per dare una collocazione più o meno generica,  a causa di una serie di involuzioni, l' "appartenenza" ha ceduto il posto ad una sorta di "ambito". Dove ognuno, da solo,  raggiunge uno stato di discreta soddisfazione:  la propria casa, la famiglia, la musica, il suo pc. Insomma lì dove si trova meglio, a suo agio. Senza dover fare i conti con nessuno, se non con sé stesso.
Vogliamo sentirci "padroni" della nostra vita. Così non ci rendiamo conto, stupidamente, della grandezza che ci circonda, non sappiamo riconoscere più nulla che vada oltre noi. Ci sentiamo dio. Non ammettiamo l'esistenza di un essere superiore, ma quella degli extraterrestri sì   ...  hahaha..   
Crediamo di avere la vita in pugno, per poi essere puntualmente e improvvisamente smentiti in un solo istante.
Ecco perché vogliamo scendere prima possibile, per essere attaccati al terreno che ci infonde sicurezza. Aspettiamo la fermata, che dà un senso di stabilità rispetto a qualcosa in continuo movimento. Eppure il movimento è segno di cambiamento, in molti casi di miglioramento, di evoluzione. Preferiamo sempre "l'uovo oggi" piuttosto che "la gallina domani". Ma non sarebbe meglio "la gallina oggi"? Allora non fermiamoci subito. Andiamo avanti. Non questa fermata, ma forse neanche quella dopo, né quella dopo ancora. Riusciremmo ad allontanarci,  magari con quei pochi compagni di viaggio rimasti, con cui, senza aprire bocca, è nata una solidarietà spontanea. Insieme forse, saremmo disposti a ritrovare un' "appartenenza" da tempo smarrita. Con loro, non avremmo più il problema di dover scendere, ma l'emozione di andare sempre più lontano.

Asmanhala